Come lo Stato tutela i legittimi diritti dei pensionati

Come lo Stato tutela i legittimi diritti dei pensionati

Di seguito la descrizione del processo giudiziario, durato ben otto anni, intercorso tra gli ufficiali giudiziari e la pensionata Evgeniya Kislitsyna.

Come tutto ha avuto inizio? Nel lontano 2007 la signora Kislitsyna aveva intenzione di acquistare dei mobili presso un’azienda di nome “Sirena+”. Ha effettuato l’ordine, ha pagato il dovuto, ma i mobili non le sono mai stati consegnati. I tentativi di risolvere la questione con le buone sono stati vani e pertanto la signora Kislitsyna si è rivolta al giudice che ha dato ragione alla parte offesa obbligando l’azienda ad un risarcimento di 13.500 rubli per le spese sostenute e 6.000 rubli per danni morali.

Come lo Stato tutela i legittimi diritti dei pensionati

Ed ecco che comincia la parte più interessante. Come è d’uso, il fascicolo è stato trasmesso agli ufficiali giudiziari ed è qui che se ne sono perse le tracce. Non che fosse realmente scomparso, però non era stata intrapresa nessuna azione concreta. La signora Kislitsyna non si è data per vinta e si è nuovamente rivolta al tribunale, questa volta con un’istanza nei confronti degli ufficiali giudiziari. Anche questa volta il giudice ha dato ragione alla signora, accogliendone l’istanza. Così nel 2010 gli ufficiali giudiziari hanno chiuso il procedimento giudiziario, indicando che il debitore aveva adempiuto ai propri obblighi nei confronti della pensionata. A dire la verità, c’era ancora un piccolo dettaglio mancante: la signora non aveva ricevuto neanche un soldo.

E così la nostra protagonista, appartenente per altro al secondo gruppo di invalidità, si è vista nuovamente costretta a rivolgersi al giudice, il quale si è espresso ancora una volta a suo favore riguardo al procedimento concernente la mancata esecuzione della sentenza. Infatti, il 17 ottobre 2014 il tribunale ha dichiarato l’illegittimità dell’esecuzione della sentenza in mancanza dell’effettivo bonifico di denaro.

A questo punto l’Ufficio notificazioni, esecuzioni e protesti si è dato da fare e in esecuzione dell’ordinanza del giudice è spuntato fuori magicamente il titolo esecutivo risalente al 2008. È stato così avviato un nuovo procedimento di esecuzione il 23 ottobre 2014, data che, a dire la verità, è la stessa della sua chiusura. Il motivo? La liquidazione del debitore, avvenuta ben due anni prima: nel 2012. Nessuno però sembrava essersi minimamente sorpreso del fatto che nel periodo risalente al precedente titolo esecutivo, cioè fino al 2010, fosse stato possibilissimo recuperare i soldi dall’azienda debitrice, cosa che non era stata fatta.

A quanto pare, tutto è in ordine e la legge è stata rispettata: non c’è debitore, significa che non c’è neanche il debito. Solo che una delle parti: i Kislitsyn, non aveva nessuna intenzione di accettare una così grave violazione dei propri diritti. La questione non riguardava più solamente il denaro da avere indietro, i due pensionati desideravano ottenere giustizia.

Evgeniya Kislitsyna si è rivolta quindi per l’ennesima volta al giudice con l’intenzione, questa volta, di riscuotere il debito dall’ente responsabile, incluso dal punto di vista finanziario, del lavoro svolto dai funzionari giudiziari, ovvero il Ministero delle Finanze. La pensionata aveva in mano tutti i documenti dimostranti la colpevolezza dell’Ufficio notificazioni, esecuzioni e protesti (UNEP).

Come lo Stato tutela i legittimi diritti dei pensionati

Ora finalmente sarebbe stata fatta giustizia, o così almeno sembrava. Dopotutto proprio i giudici avevano riconosciuto l’illegalità delle azioni messe in atto dall’Ufficio notificazioni, esecuzioni e protesti (UNEP)

Dai materiali dell’udienza del 17 ottobre 2014 si evince che i documenti inerenti alla riscossione erano andati perduti ma che, come asseriva la parte convenuta, il procedimento di esecuzione della sentenza fosse stato concluso in modo corretto. Ciononostante il denaro, che a rigor di logica avrebbe dovuto essere trasferito sul conto dell’UNEP non è poi giunto alla nostra pensionata.

Non c’è alcun limite alle risorse del Giudice di pace della 153esima sezione: la dottoressa Ermolina. Il 15 giugno 2015, infatti, quest’ultima ha emesso una sentenza nella quale le richieste dei Kislitsyn venivano dichiarate illegittime.

Un po’ di teoria. Per poter riconoscere la colpevolezza del convenuto e imporgli l’esazione del debito dovevano essere dimostrati i seguenti fattori: il danno procurato all’attore; la colpevolezza del soggetto causante il danno; il nesso causale tra le azioni del convenuto e le conseguenze della parte lesa; il danno provato.

Tutto quanto sopraelencato andava chiaramente contro l’operato degli ufficiali giudiziari: dopotutto il bonifico, che sarebbe stato effettuato dall’azienda “Sirena”, non è stato ricevuto dalla Kislitsyna, cosa che dimostra senza dubbio la colpevolezza degli ufficiali giudiziari.

Questi fatti, seppur evidenti, non hanno impedito al Giudice Ermolina di sentenziare che non era possibile stabilire la violazione dei diritti dell’attore come conseguenza delle azioni del convenuto il quale era ancora pronto ad esigere il debito dal debitore. Quest’ultimo però, ricordiamo, ha terminato la propria attività tre anni addietro.

Evgeniya Kislitsyna, avendo preso la decisione di impugnare la sentenza del giudice Ermolina, ha presentato ricorso in appello con udienza fissata per il 26 novembre. Ad esaminare il caso sarebbe stata il giudice Galkina, il cui comportamento nei confronti degli attori Evgeniya e Leonid Kislitsyn (il marito aveva deciso di agire all’udienza in qualità di rappresentante legale) merita un capitolo a parte.

Per cominciare, ai pensionati non è stato permesso di occupare il proprio posto situato di fronte ai rappresentanti del convenuto. Secondo la Galkina, infatti, essi avrebbero costituito intralcio per i suoi spostamenti nell’aula. I Kislitsyn si sono dovuti accomodare su di una panca e raccogliere dal pavimento i documenti che cadevano di continuo. Quando la coppia ha provato timidamente ad insistere per vedersi riconosciuti i medesimi diritti del convenuto, il giudice ha immediatamente richiesto l’intervento degli agenti per ripristinare l’ordine all’interno dell’aula.

La richiesta di Leonid Kislitsyn di ripetere una frase ha provocato un’assai strana reazione nel giudice, la quale ha ribattuto di non essere obbligata a gridare per farsi sentire. Quest’ultima non si è preoccupata né di ripetere la frase, né di far avvicinare il signor Leonid.

In seguito si è osservato il rigetto delle richieste dell’attore: per ben sei volte la Kislitsyna ha chiesto di mettere agli atti le sentenze precedenti che, per chissà quale motivo, erano state ignorate dalla Galkina. Il Giudice, però, ha respinto tutte le richieste ritenendo che non fossero attinenti al procedimento in corso. Altra pretesa da parte della Galkina era l’insufficiente numero di fotocopie dei documenti. Tra l’altro, la richiesta di rinvio dell’udienza al fine di preparare le copie necessarie è stata anch’essa rigettata.

A questo punto il rappresentante dell’attore ha tentato di proporre istanza di sostituzione del giudice. A fondamento della ricusazione veniva addotta l’assenza di interesse da parte del giudice verso le opinioni delle parti del processo, tra l’altro ciò riguardava solamente l’attore e il suo rappresentante, Leonid Kislitsyn. Al contrario, il parere dei rappresentati del convenuto era tenuto come sempre in considerazione dalla Galkina.

Dopo il prevedibile rigetto della propria ricusazione il giudice ha ignorato le motivazioni espresse dal Kislitsyn a causa del fatto che la proposta di ricusazione era basata su rancori personali covati dal rappresentante dell’attore, dovuti alle richieste rigettate in precedenza.

Ma il giudice Galkina non si è limitata a questo, dichiarando di essere stata interrotta due volte dall’attore Evgeniya Kislitsyna e decidendo per il suo allontanamento dall’aula. Il rappresentante dell’attore è potuto rimanere fino alla fine dell’udienza solo grazie al fatto di aver cominciato a chiedere il permesso di proferire parola prima di ogni replica.

Leonid Kislitsyn ha provato a portare a conoscenza del giudice delle integrazioni al ricorso ma quest’ultima non gli ha permesso di farlo, invocando inizialmente una violazione dello svolgimento del processo per poi omettere la fase del dibattito durante la quale il rappresentante legale dell’attore avrebbe potuto intervenire per spiegare la propria posizione.

Al termine di questa farsa i Kislitsyn stanno riflettendo a quale istanza rivolgersi per far valutare l’operato del giudice Galkina. Per il momento hanno intenzione di sporgere reclamo al collegio dei giudici e alla Corte europea dei diritti dell’uomo.